Intorno alla scrittura sopravvivono molti miti, e tra i più diffusi e da sfatare c’è l’ispirazione. Molti di quelli che si approcciano per la prima volta alla scrittura sono convinti che dipenda quasi tutto da questa sorta di magia o ispirazione divina. Se il tocco delle muse ti raggiunge, sei a posto. In caso contrario, sei fregato e non riuscirai ad andare avanti.
In tutti i corsi di scrittura c’è sempre almeno un allievo che dice di essersi iscritto perché ha provato mille volte a scrivere ma poi l’ispirazione l’ha subito abbandonato. Forse, più che di ispirazione, in questi casi di dovrebbe parlare di prurito alle dita; dopo averle sbatacchiate per cinque minuti sulla tastiera, è il prurito che se ne va.
Quindi, fin da subito, bisogna chiarire che la scrittura non è fatta di ispirazione, al di là di quello che abbiamo malamente appreso dall’immaginario romantico: è vero che le idee possono arrivare anche guardando con aria meditabonda fuori dalla finestra, ma bisognerà comunque lavorarci sopra e questo ha a che fare più con l’artigianato che non con lo sciamanesimo.
Inoltre non è detto che le idee arrivino stando seduti davanti alla scrivania o legati in stile Vittorio Alfieri. Stare seduti (e se preferite legati) serve in una fase successiva, quella in cui le idee prendono una forma concreta.
Ma prima di allora non abbiate timore di muovervi, uscire, farvi stuzzicare da spunti, stimoli e ambienti diversi. Le idee si possono nascondere ovunque, un po’ come i Pokémon del gioco che andava di moda lo scorso anno, e solo andando in giro le potete catturare. Ma attenzione: sarete comunque voi a catturare le idee, e non viceversa. Siate sempre attivi, disponibili, ricettivi.
Vi faccio un esempio pratico, sennò sembra una lezioncina teorica di uno che ha letto qualche manuale e prova a riproporvelo opportunamente rimasticato.
Qualche giorno fa sono andato al supermercato e ho fatto un pezzo di strada col carrello per portare le confezioni d’acqua fino alla mia macchina. Dopo averle caricate sono tornato indietro, cercando di schivare le macchine che arrivavano e se ne andavano e allo stesso tempo sperando di non incrociare nessuno che mi proponesse di riportare indietro il mio carrello in cambio dell’euro inserito (odio fare discussioni).
Una situazione del genere è piuttosto ordinaria e con poco appeal narrativo, eppure, in quei pochi secondi in cui spingevo il carrello vuoto, nella mia mente c’è stata una serie di associazioni di idee. Al punto che quando ho rimesso a posto il carrello e ho estratto la mia moneta, avevo già una storia che mi sembrava adatta per un racconto. Al momento il racconto non c’è ancora, ma vi trascrivo la scaletta (sempre siano benedette le scalette!).
Giusto per farvi capire che anche andare a comprare l’acqua al supermercato può stimolare la nostra immaginazione, e che le idee a volte si possono nascondere pure in un parcheggio affollato. L’importante è scovarle e poi catturarle.
- Parcheggio supermercato
- papà con bambino di sei anni
- mettono roba in auto poi fanno per riportare carrello
- arriva ragazzo nero: porto io?
- papà: no
- insistenze varie
- papà al figlio: vai, portalo tu
- il bambino va e una macchina esce dal parcheggio in retro e lo investe
- muore
- papà disperato
- pensa che se avesse detto di sì al ragazzo adesso avrebbe ancora suo figlio
- sensi di colpa
- tempo dopo ci ripensa
- è colpa del ragazzo nero che li ha fermati
- fossero andati subito niente investimento
- papà vuole vendetta e va a cercare il ragazzo nero
- lo trova e lo investe con la macchina
- altra famiglia rovinata
- e così via
[foto: Tumisu]
Il racconto l’ho poi scritto. S’intitola “Padri” ed è uscito sulla rivista Squadernauti. La struttura è rimasta più o meno invariata, il finale invece è diverso.